PAOLO BARATTA, pittore

Noceto 14 agosto 1874 - Parma il 9 gennaio 1940

Baratta nasce a Noceto, in località Ghiare nel 1874.
La sua famiglia era borghese, molto religiosa e con ascendenti nobiliari: la nonna era la Marchesa Manara, ed il nonno l’Ingegner Giacomo Baratta.
Verso il 1889, dopo un infanzia felice e a contatto con la spensieratezza del paese e della vita di campagna, la famiglia si trasferì a Parma.
“fin da piccolo si seppe che Paolino era disegnatore formidabile, la sua mano tracciava con meravigliosa freschezza e precisione la copia dei modelli, e nel foglio bianco apparivano in breve i contorni esatti. In rispondenza a questa sua naturale tendenza egli si iscrisse all’Istituto delle belle Arti ed ebbe la fortuna di avere come maestro Cecrope Barilli”(A. Barilli – aurea Parma – 1940) .

Baratta è ricordato dai biografi come uomo esuberante di ardore e di volontà e desideroso di conoscersi e di esprimersi.

Durante il periodo in cui egli frequentò l’Accademia e prima di andare a Roma, dipinse opere influenzato dall’atmosfera cittadina di Parma, con lo stile appunto della pittura della seconda metà dell’Ottocento parmense. “Già da giovanissimo rivaleggiava con coloro che lo istruivano e poneva da eguale ad eguale le sue opere alle loro” (G. Copertini – monografia su Baratta)

Nel 1890 il suo bozzetto: “Primi passi al vizio”, viene sorteggiato dalla Società d’Incoraggiamento del Comune di Borgo San Donino ora Fidenza.

Due anni dopo, nel 1892, vince all’Istituto d’Arte, il primo premio del corso speciale di figura ed espone a Genova il dipinto “Povera Mamma”, mentre l’anno seguente espone a Parma: “Visita al Convento”, “Orfani”, “Approfittando” e “L’Attesa”.

Nel novembre del 1895, viene sorteggiato al Ministero della Pubblica Istruzione per l’opera: “Ite missa est” ed all’Istituto Paolo Toschi di Parma per il dipinto “Frà Crescenzio”.

Nel 1896 concorre al pensionato romano con il dipinto “So che tu credi” e vince la borsa di studio per frequentare l’Accademia Libera del nudo di Roma. Ivi frequenta anche lo studio di Lodovico Seitz, entrando in contatto con i pittori Luigi Serra, Cesare Maccari e Giulio Aristide Sartorio. Nello studio di Seitz viene a contatto col movimento dei Nazareni di cui Seitz fa parte. Tale movimento si proponeva di ricondurre al cristianesimo l’ispirazione pittorica utilizzando come modelli i pittori italiani quattrocenteschi.

Al suo rientro a Parma nel 1899, il baratta fu colto da una ventata di modernismo e sentì l’ansia di mettersi in prima linea con i pittori italiani del suo tempo. Dal 1898 al 1903 si presentò tre volte al concorso per il Pensionato artistico Nazionale, al quale aveva già partecipato da fanciullo. Per il primo realizzò “Il giuramento di Pontida”, per il secondo “Paolo davanti ad Agrippa”, e per il terzo “Dante e Beatrice salgono al primo cielo”. Il risultato non proprio positivo dei concorsi – pur collocato dalla critica nazionale come uno tra i migliori concorrenti – gli fece gradualmente spegnere l’entusiasmo di rinnovamento.

Maestro del disegno, in cui appare un classico per tradizione, per gusto, per volontà, per studio viene spesso accostato a Francesco Scaramazza ed a Luigi Serra, bolognese.

Nel 1907 con “L’Arcangelo”, opera molto realistica, forse ispirata a quella famosa di Franz Von Struck del 1889, vince il IX Concorso per il premio artistico perpetuo, mentre a Bologna si aggiudica una medaglia d’argento della Società Francesco Francia con “Autunno di guerra” .

Scomparso il Maestro Cecrope Barilli , nel 1911 vince il concorso ed occupa la Cattedra di Figura nell’Accademia Parmense che terrà per 35 anni.

Nel 1913 collabora alla decorazione del Palazzo delle Poste di Parma la cui facciata liberty è opera di Moderanno Chiavelli di Fontanellato , dipingendo le figure allegoriche che adornano le lunette del vestibolo su via Melloni e rappresentano la Musica, l’Agricoltura, il Lavoro ed il Commercio.

Nel Luglio partecipa al concorso per una vetrata da farsi nella Chiesa di San Paolo a Roma ed a quello per la decorazione a mosaico delle lunette del Monumento Nazionale a Vittorio Emanuele II a Roma. I quattro studi a pastello presentati furono considerati dalla commissione fra i saggi più notevoli, e la commissione lo elogiò per i pregi di concezione e di forma.

Da questo momento e fino alla morte Baratta si divise equamente tra la famiglia, il lavoro e la difesa del patrimonio artistico di Parma. Dotato d’intelligenza e d’eccezionale cultura classica, ha partecipato alle principali vicende culturali della città. Nel marzo 1912 ha presentato nel Teatro Reinach, gremito di pubblico, Gabriele D’Annunzio in occasione della Sua visita a Parma per le celebrazioni del Correggio. Ha partecipato alla vita politica comunale quale consigliere e come assessore “partecipò alle vicende politiche della sua città, non per ambizioni occulte, ma per il desiderio di rendersi utile con le sue non comuni attitudini costruttive ed architettoniche, le quali parvero a molti irraggiungibili, fumose e poco sollazzevoli, mentre invece posavano su una ben solida pratica. Egli sognò di realizzare la galleria Baratta, che alcuni consideravano un’utopia, qualche volta una mania. Pochi progetti ebbero, come il suo, tanta luce di genialità, accoppiato ad un senso vivo di pratica realizzazione” (G. Copertini)

“Baratta avrebbe potuto essere il Valadier di Parma, si affannava ad offrire alla città la sua straordinaria chiaroveggenza, ma per uno strano destino non venne mai utilizzato come si sarebbe dovuto” (A. Barilli)

La Gazzetta di Parma scrive più volte delle sue battaglie contro l’abbattimento od i vandalismi sui beni della città. Tra queste battaglie merita di essere ricorda quella contro la demolizione del colonnato della Ghiaia, opera del Bettoli, le cosiddette Beccherie, che però non riuscì ad ostacolare nonostante avesse interessato il poeta Gabriele D’Annunzio tramite il comune amico Renato Brozzi, scultore. Dobbiamo però a lui se gli ippocastani dello stradone conservano ancora il loro fascino settecentesco per mezzo del casino Petitot. Oltre alla salvezza del Petitot, riuscì a salvare la chiesa di S. Quirino e riuscì anche a far restituire le 4 statue che la ornavano all’interno da un privato che era riuscito a farsele affidare per ornare il proprio palazzo. Tutte queste battaglie però non trovarono alcun appoggio tra i concittadini; il maestro si buscò dall’autorità politica richiami e minacce. Persino il sindacato degli artisti nicchiò ironicamente mettendo in isolamento il Baratta. A dare un altro colpo al maestro sopraggiunse il biasimo del cosiddetto Gruppo Novecentista –formato da giovani letterati ed artisti – i quali giustificavano il loro comportamento ritenendo le opinioni conservatrici “vecchiume inutile”. Il Baratta tuttavia non rinunciò al suo impegno. Oltre che Assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di parma fu Vicedirettore dell’Accademia ove insegnava, Presidente del Consiglio Accademico; Presidente della “Società dio Incoraggiamento” e del premio “Pollini – Rizzoli” per l’Architettura.

Fu maestro validissimo e come tale ha istruito generazioni di artisti. Tutti lo ricordano con simpatia, affetto e riconoscenza; “lo ricordano quando correggeva il lavoro degli studenti – dopo aver guardato con gli occhi socchiusi le rappresentazioni – prendeva il carboncino od il pastello, prediligeva il viola per le ombre, e rifaceva, sotto gli occhi attenti dell’alunno, il lavoro, conducendolo come sapeva fare solo lui, alla perfezione.” Gianni Copelli scrive: “sotto la sua matita appuntita “Contèè” o “Sangugna” i volti, i busti e le membra, appena porttai a termine su ampi fogli fabriano dagli studenti, acquistavano una insperata espressività, vivificata da una sorprendente perfezione anatomica. La mano infallibile del maestro sembrava compiere un miracolo su quei disegni, ancora imperfettamente espressi.” Egli dipingeva sempre, disegnava in continuazione.

In possesso di alte qualità pittoriche, Baratta ha creato una serie di opere che sfidano i tempi: più spontanee le giovanili, più meditate e sapienti le successive. Egli è un “ritrattista eccellente e, nella tecnica del pastello, insuperabile; non si limita alla rappresentazione oleografica del vero ma interpreta l’anima, il carattere della persona che ritrae e, attraverso l’analisi e la psicologia individuale rende quel segno gustato in tutta l’espressività della sua evoluzione grafica e plastica” (G.Battelli 1943).

Considerato un verista, in realtà attraverso la ricerca psicologica del personaggio, “va al di là del verismo fino ad attingere al simbolismo ricavato dalla cultura decadente del tempo” (G. Gardoni 1978).

Moltissimi disegni in cui viene delineando un volto, una figura intera senza indicazioni dell’ambiente in cui il soggetto si trova “trasferiti in un al di là di luce che ricorda il fondo oro dei primitivi, commentati da un frusciare di diafani veli” (Arisi ).

Particolarmente affezionato ai grandi francesi Gustave Moreau e Puvis de Chavannes, ma non legato a nessuna tecnica, passa con superba padronanza dalla tempera delicata e tenue dei Primitivi, alla pennellata larga e pastosa dei cinquecentisti o delle sfumature evanescenti del pastello caro a R. Carriera ed ai settecentisti francesi.

Se è vero che il genere di pittura dell’Ottocento cambia all’inizio del Novecento, lasciando all’osservatore il significato dell’opera, così non può dirsi per l’arte di Baratta, che abbraccia vasti orizzonti privilegiando una pittura di paesaggio, d’interni, d’intimità e di affetti familiari: brani di realtà comprensibili e ricchi di poesia.

Le sue opere migliori sono quelle non suggerite: sono immagini di bellezza che Egli traduce con limpida trasparenza, siano paesaggi estivi ripresi al mare o ai monti, o quelli osservati nelle vicine campagne, come “La vecchia che lavora al telaio” o “Il giorno di bucato nella casa di Sala Baganza”o “La spannocchiata” ; bellissime composizioni, con poche e suggestive figure velate di tristezza e impostate sull’attenzione a ogni piccolo particolare sono presenti negli innumerevoli brani di pittura come “L’attesa”, “Approfittando”, “Aspettando il ritorno” e “Il ritorno dei naufraghi”.

I suoi ritratti sono d’intensa espressività, come quelli della Madre, della Moglie, di Achille Puccio di Roma, della signora Mambriani, del professor Aristide Soncini di Parma, dei figli e di numerosi parenti ed amici, conservati presso gli eredi, nella Galleria Nazionale a Parma, nelle diverse Chiese e conventi dei Cappuccini, nel coro interno di San Alessandro, ed a Roma presso l’ex Casa Rurale, e ancora a Parma nella pinacoteca Stuard.

Affreschi di Baratta si trovano oltre che al Palazzo delle Poste di Parma, nell’Oratorio delle Missioni e nel Conservatorio delle Maestre Luigine, nelle Chiese di San Leonardo e San Quintino e infine a Padova nella Chiesa del Santo. Le opere d’ispirazione religiosa presentano accenti sentimentali ed esprimono mistica pace. A fine 1924 esegue anche un fregio decorativo esterno nel Palazzo della Camera di Commercio di Parma, ora Sede della Cassa di Risparmio, in strada Cavestro.

Tra le sue opere importanti, oltre a quelle già citate, si ricordano : “Povertà e quiete” esposto nella Pinacoteca di Parma, “In attesa” esposto a Torino nel 1898, “Decapitazione del beato Pietro Fabre” esposto a Parma nel 1897 in San Giovanni decollato, il “Beato Diego da Cadice” esposto nella Chiesa dei Cappuccini di Parma dal 1889, “Angeli” in San Giuseppe a Parma, altri dipinti si trovano a Cicognara di Mantova ed alcuni affreschi sono nella Chiesa di Chiavari.

Suoi dipinti figurano alla Mostra bussetana del 1926, mentre esposizioni personali sono state allestite nel febbraio 1940 nel Ridotto del Teatro Regio di Parma, nel 1945 a Noceto, con opere di proprietà degli eredi (ha avuto il figlio Orazio e le tre figlie Cenza, Tina e Bianca), dal 2 al 17 dicembre 1978 nell’Aula Magna dell’Istituto Toschi.

Nel 1954 Parma gli ha dedicato una Strada, da via Primo Savani a via Lanfranco. Noceto gli ha dedicato una delle vie principali ed il Teatro.